Veronica Zucchi


Veronica Zucchi
-Sono friulana, di Palmanova (Udine). Mio padre Alberto è un avvocato civilista e mia madre Gabriella era un’insegnante elementare. Mamma purtroppo ci ha lasciati presto. I molti libri in casa, i dipinti e i silenzi inquieti di mia madre, la dedizione per il giardinaggio di mio padre, nonché i magici vestiti cuciti da zia Nene e le favole raccontate da nonna Regina hanno creato il solco in cui ho piantato la mia rosa. La mia infanzia è stata felice e ricca di stupore. Mio fratello Federico ed io siamo stati amati. Il teatro e la scrittura sono per me un modo per ritrovare l’infanzia, la sua compiutezza. Ho incominciato a sentirmi interessata all’arte quando quella felicità si è incrinata. O, almeno, ho dato il nome “arte” a quel qualcosa che, prima, mi sembrava naturale: immaginare, scrivere, danzare, osservare e imitare. Ero più consapevole, avevo dodici anni. Diverso tempo dopo mi sono trasferita a Roma, dove ho debuttato a teatro nel 2009, con Immobildream del mio compagno Luca Archibugi (regista, drammaturgo e poeta). Lavoriamo insieme da più di dieci anni. 
-Durante l’infanzia, mia madre non voleva si guardasse troppa televisione. Però il giovedì sera faceva la pizza (mentre preparava, io e mio fratello mangiavamo tutto il prosciutto) e ci concedeva i film di Walt Disney. I miei preferiti erano Nel fantastico mondo di Oz e Alice nel paese delle meraviglie. Anche Un maggiolino tutto matto, mi faceva molto ridere. L’attrice prediletta di quel periodo era Vivien Leigh. Vidi Via col vento un pomeriggio (stranamente), con la mamma. Mi innamorai di Clark Gable e dei suoi baffi. Ricordo di avere pianto per L’incompreso. Mi identificavo soprattutto con bambini orfani o particolari; non ne capisco bene il motivo, forse il presagio di una solitudine esistenziale che, finora, ha accompagnato come un’amica/nemica la mia vita. Non dimentico le suggestioni letterarie: Il barone rampante, I ragazzi della via Pál o La guerra dei bottoni. Amavo Asimov. 
-Da adolescente, il primo film che rammento è Film blu di Kieślowski, il primo libro Wuthering Heights (“Cime tempestose”). Il mio modello di attrice è stato (e ancora è) Bibi Andersson. Ho amato Marlene Dietrich, Lauren Bacall, Marilyn Monroe, Anita Ekberg, Kim Novak, Claudia Cardinale, Rosel Zech, Catherine Deneuve, Nicole Kidman e Kate Winslet. Andavo soprattutto al cinema, o noleggiavo film in vhs; a teatro meno. E pensare che erano gli anni – quelli a cavallo fra infanzia e adolescenza – della Pentesilea di Carmelo Bene e della Metamorfosi di Leo de Berardinis… Leggevo molto, Dostoevskij in particolare. Ho incominciato a frequentare assiduamente il teatro tardi. Mi sono poi laureata con una tesi su Carmelo Bene. 
-Per essere un attore, l’ascolto e l’osservazione sono la cosa più importante. E poi studiare, studiare il più possibile: libri, film, l’uso della voce, la dizione, la metrica. E ancora: danza, canto, gestualità, musica e ritmo. Infine, ma non da ultimo: immaginare, sognare, desiderare, sempre. Soprattutto è necessario conoscere se stessi, frequentare le proprie ombre. Bisogna essere coraggiosi. Non svendetevi mai. 
Veronica Zucchi
-Credo sia importante – anzi fondamentale – seguire il mio istinto e creare un percorso per me significativo. Se poi, per caso o per fortuna, la mia ricerca interessasse a molti, mi sentirei meno sola. 
-Sì, ma al momento non posso svelarle. Stiamo tutti vivendo un momento complicato. La pandemia ha scardinato il quotidiano e cambiato il senso del reale e il significato di “realismo”. È il momento di stare in silenzio, pregare per le persone che non ce l’hanno fatta e per tutti coloro che stanno combattendo. 
-Circa la situazione attuale delle arti: Difficoltosa. Teatro e, soprattutto, cinema sono circuiti serrati. Spesso le pubbliche relazioni contano più del talento. È come giocare alla roulette. Ma se il croupier bara… . Tuttavia non bisogna arrendersi. Ad ogni modo, sono pochissimi i registi italiani con cui lavorerei ad occhi chiusi. Comunque, conta il percorso, a piccoli o grandi passi. Sono grata alla vita per il viaggio che ho fatto finora, per le pericolose montagne russe, i folli deserti, per la calma e inquieta pianura e la malinconia ebbra del mare.

-Circa nuovi ruoli offerti: Mi avvicino con fiducia, se pur con molto spirito critico. I copioni e le sceneggiature sono importanti, non è ovvio dirlo. Li leggo con calma. Devo sentire una parte. Mi piacciono le sfide. 

-Circa l’equilibrio tra la tua vita privata e la tua pratica professionale: Non ho figli. Lavorando spesso insieme al mio compagno, non è complesso. Certo, è capitato di separarci, ma è un lavoro che ci rende felici. Si fanno volentieri piccoli sacrifici. 
-Sto lavorando a un progetto che, per me, è molto importante; ma, se ne parlo, mi uccidono. Gli artisti, si sa, sono scaramantici ed io non faccio eccezione. 
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