Virginia Risso


Virginia Risso


-Non sono figlia d’Arte. Arrivo da una famiglia eterogenea: mia sorella, mio fratello ed io abbiamo interessi diversi e facciamo lavori agli antipodi fra loro, ed il merito è dei nostri genitori. Dico “merito” perché siamo stati cresciuti nella totale libertà d’espressione, non ci sono stati imposti credi, religioni, indirizzi scolastici/lavorativi, siamo stati educati al rispetto del prossimo e di noi stessi. Questo ha favorito una consapevolezza di sé e delle proprie scelte, per la quale gli sarò sempre grata. Il mio rapporto con il Teatro è stato per fortuna precoce. Seguivo i laboratori proposti dalla scuola, per poi approfondire con corsi esterni, fino alla formazione accademica. Ovviamente continuo ad integrare con lezioni private e workshop.
-La mia divinità a livello cinematografico è Meryl Streep, perfezione a 360 gradi, raggiungere la sua versatilità dovrebbe essere un’aspirazione per ogni attrice. Un altro punto di riferimento è stata Anna Marchesini, per la sua comicità poliedrica e per la sua autonomia artistica nello scrivere, dirigere ed interpretare.
-Come per tutti i lavori, la preparazione è fondamentale. Nel caso di noi Artisti non si smette mai di imparare, è uno studio continuo, ed è proprio questo aspetto che rende la nostra professione costantemente stimolante. Apprendere nuove tecniche, affinarne altre, mantenere sempre in allenamento corpo, voce e creatività. Stupirsi ogni giorno.
-Il traguardo non dev’essere la celebrità, ma il mezzo che ti porta ad ottenerla. Una fama mondiale si ottiene raggiungendo obiettivi importanti. 
-Purtroppo sono ancora presenti discriminazioni di genere nel mondo dello spettacolo e queste rappresentano una fetta marcia ben radicata nell’ambiente, dove ruoli televisivi/cinematografici vengono barattati con prestazioni sessuali, o più banalmente dove l’estetica prevale sulla meritocrazia.
-L’emergenza sanitaria che stiamo affrontando rappresenta un periodo drammatico in qualsiasi ambito lavorativo. Nel caso di noi artisti il problema maggiore riguarda la concezione che il nostro Paese ha, o meglio, non ha del Teatro: fare l’attore non viene riconosciuto come un lavoro, mancano quindi tutele, regole, incentivi. La nostra categoria è sola, lo era prima del virus e lo è ancor di più adesso. Siamo senza sussidi, senza attenzione, coerenza, controllo da parte dello Stato. Ed è una condizione fissa, che in questo periodo ne risente maggiormente.
-Per prima cosa studio l’autore, poi l’opera e ultimo, di certo non per importanza, il personaggio. L’approccio nell’affrontare il personaggio è una delle parti che preferisco: trovare punti in comune, vissuti simili, esperienze paragonabili, al fine di coesistere l’uno nell’altra. Segue poi la sua creazione: come parla? Come si muove? Analizzare e concretizzare ogni dettaglio, trovando una motivazione dietro ognuno.
-Il mio lavoro ricopre il primo posto nella mia vita, fin’ora sono stata fortunata nel trovare partner disposti ad accettare questa condizione.
-Attualmente la condizione in cui ci troviamo non permette di avere certezze sul futuro prossimo. Questa stagione resta un’incognita. Di certo però ripartiremo con forza a settembre con vecchie e nuove produzioni.  

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